Per poter realizzare una città migliore, con maggiore qualità urbana, è necessario modificare radicalmente il metodo della pianificazione.
La pianificazione del territorio è stata ed è il prodotto tra il fattore economico e quello politico.
Negli ultimi anni, con la crisi dei partiti politici, si è radicalmente modificato il rapporto tra i due fattori.  Quello politico-amministrativo ha perso parte del proprio potere, a vantaggio del fattore economico-affaristico, spesso diventando succube dello stesso.
Non di rado, il fattore economico ha gestito e/o addirittura creato direttamente i soggetti politici e amministrativi.
Gli stessi strumenti urbanistici, molto spesso, sono stati e lo sono ancora, le piattaforme tecniche che giustificano e notificano la speculazione edilizia.
Per confermare questo metodo, è stato necessario mantenere un sistema di pianificazione territoriale basata su un meccanismo discrezionale e decisionale, che ha escluso tutti i soggetti che non rientravano tra ‘gli amici’.  Con questo sistema, gli investitori privati hanno potuto e possono intervenire con le loro proposte, le cosiddette ‘Manifestazioni d’interesse’, già nella fase di pianificazione, dove le scelte di costruire e/o ristrutturare gli agglomerati edilizi, sono basate sul valore immobiliare e sulla rendita economica, a scapito degli interessi e dei bisogni della collettività .
Nella pianificazione basata sulla rendita fondiaria, anche in una situazione urbanistica in cui esiste un eccesso di patrimonio edilizio non o sottoutilizzato, i nuovi strumenti di piano, spesso, prevedono molti nuovi mc di costruito e/o di ristrutturato con destinazioni d’uso non sempre idonee a quanto necessiti alla città ed ai suoi abitanti.
Le conseguenze le abbiamo sotto i nostri occhi tutti i giorni: inquinamento, carenza di aree verdi, città concentriche con grossi problemi di traffico e con un consumo di suolo che ha ridotto, ed in molti casi annullato, il rapporto città /campagna, riunendo le sfrangiature periferiche del tessuto urbano cittadino con i borghi rurali esterni.
Questo tipo di pianificazione ha permesso la cementificazione del suolo, al ritmo di due mq al secondo, 14 ettari al giorno. Il Veneto, con 217.744 ettari di suolo consumato, è risultata la seconda regione d’Italia, con maggior consumo di suolo dopo la Lombardia.  Verona, con circa 5.642 ettari di suolo consumato, è il secondo capoluogo del Veneto, dietro a Venezia e davanti a Padova.
Inoltre, va considerato il pericolo che, in questo tipo di pianificazione, le organizzazioni criminali, strutturate come vere e proprie aziende, possano infiltrarsi nella stesura dei piani regolatori e nella successiva attività edilizia, per condizionare i politici e gli amministratori pubblici.
Per modificare questo modo di pianificare il territorio, è indispensabile superare il duro ostruzionismo nei confronti di ogni forma di vera urbanistica partecipata.
Le scelte d’uso dovranno essere definite attraverso consultazioni e passaggi democratici con esponenti della cosiddetta società civile.
Il comparto dell’edilizia dovrà passare dalla costruzione di nuovi edifici, con relativo consumo del suolo, al recupero e alla riqualificazione delle porzioni urbane obsolete.
Soprattutto, dovranno essere realizzati gli interventi realmente necessari per il benessere della collettività . Risulterà necessario bonificare il paesaggio dalle strutture edilizie non utilizzate, riducendo così il debito con il verde.
Va sottolineato che, il territorio del comune di Verona, ha 2.000.000 di mq di verde in meno, rispetto alle norme urbanistiche, dei quali 800.000 mq solo a Verona sud.
L’Europa chiede la rinaturalizzazione dei territori, con l’obiettivo della Land Degradation Neutrality, prevista dall’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che presume per gli stati membri l’azzeramento della cementificazione e l’aumento delle superfici naturali sottratte all’urbanizzazione.